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Libri di Alberto Folin

Biografia e opere di Aline Kiner

Rallentare o morire. Per un’economia della post-crescita

Libro: Libro in brossura
editore: Marsilio
anno edizione: 2025
pagine: 368
«Crescita verde, crescita circolare, crescita inclusiva; cinquanta sfumature di crescita, ma sempre crescita». Siamo talmente immersi in questa ideologia che è più facile immaginare il pianeta in ogni sorta di distopia in stile Black Mirror, che un’economia in cui si produca meno. Nata negli anni trenta del secolo scorso come concetto contabile – il famigerato pil – è diventata un mito, un contenitore simbolico in cui facciamo rientrare progetti collettivi e individuali. Se però un tempo ha avuto una funzione ben precisa – rilanciare l’economia dopo la Grande depressione, debellare fame e povertà, ricostruire l’Europa – oggi l’indicatore coincide con l’obiettivo, una crescita senza scopo che ha conseguenze drammatiche. Esponente di una nuova generazione di studiosi, salito alla ribalta in Francia come teorico militante, fautore di un’«economia della post-crescita», in una forma accessibile e stimolante Parrique ci invita (e ci aiuta) a prendere parte alla svolta storica che cambierà le sorti del nostro futuro e le cui alternative impietose sono tracciate nel titolo di questo libro. Per abbattere la pervasiva «mistica della crescita», spiega i complessi meccanismi che la legano alla natura, all’occupazione, al debito pubblico, alla coesione sociale e al benessere. Descrive la nascita e la trasformazione della teoria della decrescita, i luoghi comuni che inquinano il dibattito e le critiche costruttive che lo rinvigoriscono. Propone un piano concreto per andare oltre e imboccare una delle tante strade possibili che aspettano solo di essere prese in considerazione. Questo libro è la rivoluzione gentile dell’economia di cui avevamo bisogno, la prova che la crescita non è un destino ineluttabile. Saremo in grado di riconoscerlo e cambiare il nostro modo di pensare?
21,00 19,95

Teoria dell'azione politica

Libro: Libro in brossura
editore: Marsilio
anno edizione: 2023
pagine: 336
L’uomo è per natura un essere violento? Quali principi devono guidare l’azione politica? La diplomazia deve porsi obiettivi morali o obbedire soltanto alla ragion di Stato? Sono alcune delle questioni che Raymond Aron affronta in questo corso tenuto al Collège de France nel 1973 e qui pubblicato per la prima volta, e che appaiono ancor più cogenti nell’ora in cui gli europei riscoprono con inquietudine la gravità delle scelte civili e le prove di forza della guerra. In un confronto intellettuale serrato con Clausewitz e Sun Tzu, Lenin e Carl Schmitt, Jean-Paul Sartre e Julien Freund, il filosofo francese introduce e sviluppa il significato e i contenuti della teoria dell’azione politica, che non ha mai smesso di elaborare, mettendo in guardia da due tendenze opposte ma altrettanto pericolose, il moralismo e il cinismo. Discute inoltre strategie e tecniche della gestione del potere, chiarisce capisaldi del pensiero attraverso considerazioni incisive su scenari scottanti all’inizio degli anni Settanta che si rivelano universali e più che mai utili quando, oggi come allora, le denunce morali, le ideologie storiche e gli specialismi tecnici eludono la riflessione attenta sulle scelte collettive. Se la guerra resta la continuazione della politica con altri mezzi, la persistente divisione tra comunità politiche e spirituali non permette di dimenticare né la necessità della difesa né la coscienza dei beni che determinano l’umanità dell’uomo. Nel susseguirsi delle lezioni, si ha il privilegio di assistere al divenire della riflessione, seguendo lo sviluppo di un pensiero lucido e rigoroso, attraverso il quale un autorevole maestro contemporaneo si impone come riferimento imprescindibile per la filosofia e la sociologia politiche europee, formulando quesiti la cui eco e le cui implicazioni giungono fino a noi.
22,00 20,90

Governance. Il management totalitario

Libro: Libro in brossura
editore: BEAT
anno edizione: 2023
pagine: 192
Nell’ultimo quarto del XX secolo, per descrivere e regolamentare il funzionamento delle organizzazioni e delle strutture aziendali, i teorici delle imprese ricorrono a un termine che, sin dal lontano XVI secolo, era un semplice sinonimo di governo: «governance». All’inizio degli anni Ottanta il termine viene introdotto nella vita pubblica col pretesto di affermare la necessità di una sana gestione delle istituzioni dello Stato e diventa il «grazioso nome» di una gestione neoliberale dello Stato, caratterizzata da deregulation e privatizzazione dei servizi pubblici. Negli anni successivi, attraverso questo sintagma, si fa strada quello che qualcuno ha definito un vero e proprio «colpo di stato concettuale». La governance infatti non è soltanto un termine che indica la necessità di adattare le istituzioni alle necessità e ai desiderata dell’impresa, ma qualcosa di molto piú rilevante. È un’espressione volutamente indeterminata che esprime la nuova arte della politica «senza governo», senza quella pratica, cioè, che presuppone una politica dibattuta pubblicamente. Strappato il vecchio contratto sociale alla base di ogni «governo», la governance inaugura «l’età felice» – per tecnocrati, finanzieri e imprese – della contrattazione plurale, una mutazione che promuove «il management d’impresa e la teoria della tecnica aziendale al rango di pensiero politico».
10,00 9,50

Gli amanti di Coyoacan

Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2022
pagine: 256
Buganvillee, aranci, cactus, gatti dal lungo pelo grigio e cani di uno strano colore: agli occhi di Natal'ja Sedova e Lev Trockij il patio di casa Azul, la casa di Frida Kahlo e Diego Rivera, sembra un'arca di Noè sulla quale potere finalmente scampare alla morte. Natal'ja non può trattenere le lacrime, mentre la pittrice le parla di quell'edificio dalle mura blu in cui lei e Diego hanno trascorso larga parte della loro tumultuosa relazione. Natal'ja e suo marito, invece, sono in esilio da anni, sballottati da un paese all'altro, braccati dai sicari di Stalin, alla ricerca incessante di un luogo senza ombre sospette, senza sguardi minacciosi attorno. È un giorno del 1937. Un giorno indimenticabile per Frida. Non è da tutti accogliere Lev Trockij, colui che, a ventotto anni, nel 1905, ha presieduto il primo soviet di Pietrogrado, l'uomo che ha creato l'Armata rossa con cinque milioni di soldati ai suoi ordini, il delfino scelto da Lenin per dirigere il gigante sovietico, il dirigente bolscevico che Diego ammira di piú al mondo, al punto tale da dipingerlo nei suoi affreschi come il «capo della classe rivoluzionaria mondiale». Trockij ha cinquantotto anni, soffre di perdita della memoria e ha bisogno di sonniferi per dormire. Ma non è certo insensibile alla bellezza femminile. Nel tragitto in macchina verso casa Azul ha riconosciuto il profumo di Frida, lo Shocking di Schiaparelli, celebre per il flacone disegnato da Leonor Fini. Con il suo sguardo magnetico, il rossetto sulle labbra e lo smalto sulle unghie, le lunghe trecce inframmezzate da nastrini, gli enormi orecchini d'oro, la gonna ricamata con seta colorata, Frida irradia una luce irresistibile. Nei giorni seguenti il suo riso, le sue provocazioni, la sua assoluta libertà saranno fatali per l'ex comandante dell'Armata rossa. Trockij ne sarà irrimediabilmente sedotto. Tra sotterfugi e gelosie, una passione inaspettata e divorante lo spingerà tra le braccia dell'artista trentenne. Una passione che Frida ricorderà come una delle “cose migliori” della sua vita e che si tradurrà anche in una delle fasi piú feconde della sua pittura. Con Gli amanti di Coyoacán, Gérard Roero di Cortanze conduce il lettore in una «trepidante epopea d'amore e politica» (L'Obs), in anni in cui il sogno di liberare il mondo e il desiderio da ogni costrizione alimentava e univa arte e politica.
19,00 18,05

Il fiume che voleva scrivere

Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2022
pagine: 396
Sotto il nome di Progresso, di Tecnica, abbiamo depauperato la Terra. Se i fiumi, le montagne, le foreste, gli oceani, i ghiacciai e le terre, dopo millenni di soprusi, potessero esprimersi, che parole userebbero? Nella rivendicazione dei loro diritti fondamentali, gli elementi della natura troverebbero ascolto presso quei «soggetti» umani, unici responsabili di quella sistematica prevaricazione? Questo è un libro-percorso, con un fine preciso: pensare una «rivolta giuridica della Terra», a partire dai nostri luoghi qui in Europa, per dare strumenti a chi in futuro vorrà impegnarsi nella trasformazione di un certo modo di scrivere le leggi. Per attribuire, dunque, lo statuto di persona giuridica a quegli elementi della natura, arbitrariamente considerati «oggetti» in quanto non umani. Un cambiamento profondo nei nostri sistemi legislativi che invita gli assenti al tavolo dei negoziati e che porta con sé la speranza di un risarcimento. Una nuova ontologia dove fiumi, laghi, mari, specie animali, vegetali potranno sostenere le proprie ragioni e scrivere, assieme a noi umani, i termini della vita comune. Un libro raccontato da Camille de Toledo con le voci di Frédérique Aït-Touati, Bruno Latour, Virginie Serna, Bruno Marmiroli, Jacques Leroy, Jean-Pierre Marguénaud, Catherine Larrère, Catherine Boisneau, Valérie Cabanes, Matthieu Duperrex, Gabrielle Bouleau, Sacha Bourgeois-Gironde, Marie-Angèle Hermitte... E se le ferite, i dolori, le stanchezze della natura diventassero linguaggio, parole di collera, parole politiche che pretendono di essere ascoltate e istituite nelle nostre forme umane, nelle nostre leggi? E se la siccità che vediamo a ogni estate fosse il segno di un linguaggio, di una voce del mondo che ci obbliga all’ascolto? E se gli elementi della natura, fiumi, corsi d’acqua e montagne e foreste e oceani e ghiacciai e terre, a forza di esclusioni, di espropriazioni, di estrazioni, di depredazioni, avessero cominciato a inventare una grammatica propria, esigendo di essere rappresentati? Ecco la storia della rivolta giuridica della Terra.
35,00 33,25

La diagonale Alechin

Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2022
pagine: 256
Occhi d’acciaio, di un azzurro terreo, bocca stretta che ne tradiva il carattere marziale e gesti affettati da moscovita di nobili origini, Aleksandr Alechin fece il suo definitivo ingresso nell’aristocrazia scacchistica nel 1927, quando a Buenos Aires si aggiudicò il titolo di campione del mondo sconfiggendo José Raúl Capablanca, elegantissimo cubano che dominava la scena da quasi un decennio. Sadico degli scacchi che, con il suo attacco a sorpresa, mirava ad atterrare e distruggere l’avversario, Alechin si era preparato con cura all’incontro. Aveva studiato il limitato repertorio di aperture di Capablanca, il suo «istinto di conservazione», e aveva deciso di affrontarlo con il suo imprevedibile gioco di attacco. Chi era, tuttavia, davvero questo genio che padroneggiava mirabilmente le mosse sulla scacchiera, ma non altrettanto quelle sul palcoscenico della sua vita e della sua epoca? In Russia era stato campione nazionale di scacchi e, insieme, giudice istruttore della polizia criminale di Mosca, interprete presso il Comintern e, stando a quanto alcuni affermano, spia scampata a una condanna a morte grazie all’intervento di Trockij. In Francia, dove ripara nel 1921, diventa Alexandre Alekhine, capitano della nazionale francese di scacchi nelle cui file gioca, per qualche anno, Marcel Duchamp. Accanito bevitore, tratta spesso le persone come fossero semplici pedoni sulla scacchiera. Inquieto seduttore, si sposa cinque volte con donne molto più anziane di lui. Durante il governo di Vichy, scrive sulla Pariser Zeitung, la rivista tedesca della Parigi occupata, una serie di articoli in cui tratteggia le differenze tra lo scacchista ebreo e quello ariano. Collabora con Hans Frank e Joseph Goebbels, partecipa a tornei nei territori del Reich. Dopo la guerra, accusato di collaborazionismo, si rifugia nel Portogallo di Salazar, dove muore in circostanze oscure nel 1946, a 53 anni e ancora campione del mondo di scacchi. Se è vero che la letteratura è la sola arte capace di restituirci «il mistero dell’individuo» (Emanuele Trevi), non c’è modo migliore delle pagine che seguono per accostarsi all’opera e alla figura di questo genio degli scacchi. Con la sua impeccabile scrittura, Arthur Larrue ritrae mirabilmente colui che Harold C. Schonberg definì «lo scacchista più immorale di Richard Wagner e di Jack lo Squartatore» e ne svela, a un tempo, il «doppio invisibile».
18,00 17,10

La notte delle beghine

Libro: Libro in brossura
editore: BEAT
anno edizione: 2020
pagine: 299
Parigi, 1310. Nel quartiere chiamato il Marais, sorge un'istituzione unica in Francia: il grande beghinaggio. Fondato da Luigi IX, l'edificio ospita una comunità di donne inclassificabili, sfuggenti a qualunque definizione: sono le beghine che hanno scelto la vita monastica ma senza i voti. Il claustro dove lavorano, studiano e vivono affrancate dall'autorità degli uomini, è un'oasi all'interno della città, un'isola ben protetta dal mondo esterno. In un freddo mattino di gennaio la vecchia Ysabel, che da anni veglia sulla pace del luogo, sta svolgendo i consueti preparativi per l'Officio quando ode un grido proveniente dalla strada. Addossata contro il vano dell'entrata all'esterno, appare una figura coperta da una mantellina sudicia, il volto nascosto sotto un cappuccio. Maheut, questo il nome della ragazza, è in fuga da un matrimonio impostole con la violenza. Sfinita, malata e inseguita da un sinistro frate francescano, ha bussato alle porte del beghinaggio in cerca di protezione. Ysabel non esita ad accoglierla, benché l'inquietudine serpeggi tra le beghine nell'istante in cui il laccio che lega i capelli di Maheut si scioglie e, davanti ai loro occhi sgomenti, srotola una gran massa di capelli rossi. Rossi come i capelli di Giuda e Caino. Rossi come le fiamme dell'inferno che bruciano senza far luce. L'ombra di tempi bui sta, del resto, per abbattersi sul cielo di Parigi. Il processo ai Templari, accusati dei crimini più nefandi, accende l'animo di molti in città, e lo spettro dell'eresia e della stregoneria si aggira nel Regno a seguito dell'arresto di una beghina proveniente da Valenciennes, Marguerite Porete, colpevole di aver scritto un libro, "Lo specchio delle anime semplici", in cui si prende la libertà di criticare chierici e teologi. Abbandonare al suo destino Maheut, quella giovane dallo sguardo aspro come smeraldo grezzo, o combattere e difenderla per difendere, insieme, la propria indipendenza e libertà? Questo è il dilemma che agita le coscienze e turba la pace nel grande beghinaggio del Marais. Intrecciando i momenti salienti del regno di Filippo il Bello e il destino di personaggi reali e immaginari, Aline Kiner ci conduce in un momento cruciale della Storia, in cui eroine solidali e sovversive non esitano a fare propria la battaglia contro l'oscurantismo e per la libertà delle donne.
11,00 10,45

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