Francia, giugno 1945. Nil Kantorovi si è appena salvato dalla morte. In fuga da un passato in cui ha già vissuto molte vite – randagio nei bassifondi di Mosca, informatore per il regime sovietico, confidente di pezzi grossi del Cremlino per poi finire al controspionaggio e a collaborare con i nazisti –, è appena arrivato a Tolone dopo una settimana a saltare da un treno all’altro. È sporco e trasandato, ma i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, ancora una volta, lo salvano da sguardi sospettosi. Con l’imperturbabilità che lo contraddistingue, all’uscita della stazione ruba una bicicletta rossa che il proprietario ha incautamente lasciato slegata e con quella si appresta a raggiungere l’obbiettivo che ha tenuto in vita le sue speranze anche quando sembrava che per il mondo intero non ce ne fossero più. A Serres deve ritrovare Vera, la donna che più di tutte ha rapito il suo cuore e che Nil non vede da quindici anni. Di lei sa che è sposata con un ricco imprenditore, ma solo al suo arrivo scopre che si è trasferita a Parigi, dove si circonda di amanti e frequenta gli intellettuali della Rive Gauche. Nil la raggiunge nella capitale, e qui, insieme a un triangolo amoroso che coinvolge anche Nataša, suo primo grande amore, inizia un complicato gioco di trame, tra agenti dell’NKVD, emigrati zaristi, collaborazionisti e nazisti in fuga. Dopo La Russia non esiste, Sibaldi torna a seguire le peripezie di un personaggio che tiene fede al destino insito nel suo nome (Nil, dal latino nihil, “nulla”) e si destreggia tra i meandri della Storia con la disinvoltura dell’acqua, che non ha forma propria ma assume quella degli spazi in cui si insinua.