Libro: Libro in brossura
anno edizione: 2025
pagine: 192
Cosa succede all'opera di uno scrittore quando viene tradotta, soprattutto se si chiama Franz Kafka? A partire dalla metà degli anni Venti del Novecento, dieci scrittori fecero conoscere le sue opere al di fuori della lingua e del luogo in cui lui le aveva concepite, salvandole dall'oblio a cui le autorità sovietiche e naziste le avevano condannate. Per decenni, l'opera di Kafka è esistita principalmente in traduzione, attraverso voci diverse dalla sua. I suoi primi traduttori non lo sono diventati per caso, ma per necessità o per amore. Paul Celan e Primo Levi lo tradussero (rispettivamente in rumeno e in italiano) al ritorno dai campi di concentramento; Bruno Schulz lo tradusse in polacco, prima di essere fucilato per strada da un ufficiale delle SS; Milena Jesenská lo tradusse in ceco, prima di essere deportata; e Jorge Luis Borges in spagnolo, prima di perdere la vista. I suoi traduttori russi, costretti alla clandestinità, rimasero anonimi. Quanto al poeta Melech Ravitch, lo tradusse in yiddish dopo la guerra per un pubblico di lettori che era quasi scomparso. Tutti i traduttori hanno imposto l'opera di Kafka sulla scena mondiale proiettandovi qualcosa di loro stessi. Ognuno di loro può, a modo suo, esclamare: «Josef K, c'est moi». In questo saggio erudito e struggente Maïa Hruska tira il filo delle matasse letterarie e politiche del XX secolo: analizzando il modo in cui Kafka è diventato Kafka, illumina sottilmente l'Europa di oggi alla luce di quella di ieri.