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Donzelli: Saggine

Tutte le nostre collane

Se socialdemocrazia è una malaparola. Le sei Caporetto della Sinistra italiana (1919-2022)

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 96
Una Sinistra intesa a perseguire i valori, i principî e gli obiettivi della democrazia, della rappresentanza politica e della difesa sociale del mondo del lavoro in Italia ha ancora storicamente senso e un possibile avvenire? E se sì, su quali basi? Partendo da questo interrogativo, Massimo L. Salvadori tocca il cuore stesso dell’esistenza di un partito di Sinistra in Italia. Cosa vuol dire, oggi, essere di Sinistra? Nelle sue molteplici incarnazioni la Sinistra è stata invariabilmente respinta dalla guida del paese, subendo una serie di ininterrotte Caporetto: nel 1919-1922, ad opera del fascismo; poi, nell’aprile 1948, la sconfitta che inaugurò il lungo regno della Democrazia cristiana e dei suoi alleati; ancora, nel 1994, la vittoria di Berlusconi e l’inizio del suo ventennio al potere; passando, nel 2013 e nel 2018, per l’affermazione del Movimento 5 Stelle e poi della Lega; fino all’ultima, clamorosa Caporetto, nel 2022, che ha consegnato le redini del potere ad una Destra di matrice neofascista. In questa ormai lunga storia di occasioni mancate, di svolte in cui sembrava esserci la possibilità di diventare maggioritari e invece si è assistito all’esatto contrario, Salvadori ravvisa una costante: la «separatezza» della Sinistra dalla maggioranza degli italiani che, nei momenti di crisi dei sistemi politici, ne hanno rigettato gli orientamenti, schierandosi a favore di correnti politiche e sociali di volta in volta di centro, populistiche o addirittura di destra. Arrivando all’oggi, tuttavia, l’analisi si tinge di qualche speranza, qualora il PD di Elly Schlein, come ha dimostrato alle elezioni europee del 2024, si riveli capace di superare la distanza del partito dai ceti soprattutto popolari – ma non solo – che non si sentono più da esso rappresentati. Solo assumendo la fisionomia di una forza riformistica autenticamente socialdemocratica il PD potrà superare questa condizione di separatezza, di estraneità, dal corpo sociale e scongiurare in futuro nuove Caporetto.
15,00 14,25

L'Italia s'è desta. L'inno di Mameli: un canto di pace

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 192
«Il rapporto conflittuale degli italiani col proprio inno nazionale era ed è un sintomo evidente della relazione difficile, spesso imbarazzante, con la propria storia e soprattutto con quella più recente, di un popolo che ancora oggi stenta a riconoscere il filo rosso che lega le nostre battaglie risorgimentali all’antifascismo, alla Resistenza e ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale». Fin dal suo primo apparire l’inno di Mameli ha conquistato gli italiani, che subito lo hanno riconosciuto e sentito come espressione autentica del loro desiderio di unità e libertà. Vicende storiche e un linguaggio di non immediata comprensione hanno poi contribuito a oscurarne il messaggio di pace e di fratellanza, che lo distingue da altri inni più celebrati, a cominciare dalla Marsigliese. Il libro di Massimo Castoldi ci accompagna alla scoperta del significato autentico del testo, liberandolo dalle incrostazioni del tempo. Ci restituisce le prime redazioni autografe e a stampa e porta alla luce il ricchissimo patrimonio di fonti che lo hanno nutrito, svelando l’intreccio di ispirazioni e suggestioni, colte e popolari, celate nei suoi versi. Scritto a Genova nel 1847 sotto l’influsso di ideali mazziniani e repubblicani – e presto musicato da Michele Novaro –, seguì il suo giovane autore sulle barricate delle Cinque giornate di Milano, fino alla morte nella difesa della Repubblica romana del 1849. Cantato dai Mille di Garibaldi, celebrato da Carducci e Pascoli, fu ammirato da Verdi e da Toscanini. La monarchia gli preferì la Marcia reale e il primo fascismo lo mise al bando, salvo poi strumentalizzarne alcuni versi in direzione violenta e xenofoba. Parte della Resistenza lo fece proprio. Nel ’43 fu cantato dai confinati a Ventotene, mentre andavano verso la nave che ridava loro la libertà, e in questo spirito fu proposto come inno nazionale all’indomani del referendum da cui nacque la Repubblica. Era però una disposizione provvisoria. E nel secondo dopoguerra, tra individualismo crescente e perdita di sentimenti collettivi, periodicamente l’inno fu al centro di critiche, dibattiti e appropriazioni maldestre. Parodiarlo era diventato un vezzo di una parte della cultura di sinistra, cantarlo sull’attenti una consuetudine diffusa dell’estrema destra. Non è un caso se si è dovuto aspettare il 2017 perché fosse ufficialmente riconosciuto come inno nazionale: la storia della ricezione dell’inno di Mameli è anche e soprattutto la storia della controversa relazione degli italiani con l’idea di patria.
18,00 17,10

Tra le nebbie della P2. Memorie inedite di un capo dei Servizi

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 160
«Sono orgoglioso di aver fatto tutto il mio dovere a favore della patria e di non appartenere a quel gruppo di traditori che, nonostante il giuramento solenne prestato all’inizio della carriera, si è poi volto all’obbedienza di una loggia massonica segreta che certamente è la responsabile di tutti i depistaggi avvenuti nel corso e a seguito delle varie stragi». Dopo la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), il paese prese consapevolezza dell’esistenza di una «strategia della tensione» che mirava a erodere le basi dello Stato democratico. Da quel primo attentato fu un susseguirsi di eventi sanguinosi, mai chiariti fino in fondo: dalla strage di Peteano a quelle di Ustica e di Bologna. Questi eventi non solo hanno destabilizzato fortemente la convivenza civile, ma hanno pure condizionato la storia del paese fino ad oggi. Di queste vicende parla con grande chiarezza il generale Pasquale Notarnicola, ai vertici del SISMI (Servizio di sicurezza militare) dal 1978 al 1983. Nelle sue memorie, oggi pubblicate per la prima volta, ricostruisce dall’interno una pagina tragica della storia italiana. Per molti anni, i processi per definire le responsabilità hanno visto una sorprendente alternanza di assoluzioni e condanne, tra depistaggi, falsificazioni e omissioni, dando all’opinione pubblica l’impressione che non si potesse mai arrivare alla «verità». Ma le inchieste sono proseguite e, anche grazie alle testimonianze di servitori dello Stato come Notarnicola, molte responsabilità sono state chiarite. Oggi infatti sappiamo che l’obiettivo della strategia della tensione non era ricostituire uno Stato autoritario, ma delegittimare il Partito comunista per impedirgli di avvicinarsi al governo, accusandolo di essere responsabile del caos che stava colpendo il paese. Inoltre, abbiamo certezza che i vertici dei servizi segreti e gruppi neofascisti come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e i NAR hanno intrecciato la loro attività eversiva con quella dei Servizi segreti di alcuni paesi stranieri, delle Forze armate, del mondo politico e di organizzazioni internazionali come la loggia massonica P2, con i suoi ulteriori e oscuri intrecci con la criminalità organizzata. Il generale Notarnicola entra nelle pieghe più oscure di questi intrecci con la sua esperienza diretta, a tratti sconvolgente per il livello intricato di infiltrazione nei gangli vitali dello Stato da parte della P2 e del suo capo, Licio Gelli. Tuttavia, secondo Notarnicola, Gelli era solo la pedina di un sistema più grande e a lui superiore, così potente da ostacolare il generale nella sua attività investigativa, ostracizzarlo, depistarlo, per allontanarlo dalla verità. Angelo Ventrone – storico e studioso dei fenomeni eversivi nel nostro paese – ha ascoltato Notarnicola come testimone diretto di una stagione terribile, che tarda a farsi storia ma che deve essere portata alla luce perché la vita democratica possa proseguire senza ombre.
18,00 17,10

Potere di altro genere. Donne, femminismi e politica

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 160
«Si può sostenere che la vittoria di una donna sia una conquista per tutte, qualunque sia la sua storia, la sua visione politica, il suo rapporto con il femminismo, il suo modello di gestione del potere?». La nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio ha inaugurato in Italia il primo governo con a capo una donna. Contemporaneamente, in tutta Europa e in diverse parti del mondo, leader donne stanno assumendo ruoli apicali e di responsabilità. Eppure, la popolazione femminile nel suo complesso subisce ancora le più gravi forme di sfruttamento, violenza, povertà, marginalizzazione culturale. L’inizio del nuovo millennio ha conosciuto un inasprimento degli attacchi a diritti e libertà ottenuti dal movimento femminista nel secolo scorso, con quella che è stata definita la più grande rivoluzione pacifica del Novecento; basti pensare all’offensiva sferrata da più fronti contro l’aborto, una conquista che, insieme al diritto di voto, aveva rappresentato un passaggio chiave di quelle lotte. Come si spiega una tale contraddizione? Attraverso un’analisi degli sviluppi più recenti della politica italiana e internazionale, Giorgia Serughetti riannoda i fili di questo paradosso. L’avanzare delle donne all’interno dei partiti reazionari e conservatori, lungi dal sovvertire le strutture di genere, ha fatto del femminismo un repertorio strumentale, piegato a fini ideologici, sovranisti e autoritari. Piuttosto che di «femminismo di destra» o di «femminismo neoliberista», si può parlare di appropriazione e distorsione del linguaggio femminista da parte di forze avverse all’obiettivo dell’uguaglianza. La retorica dell’ascesa individuale e della rottura del «soffitto di cristallo» occulta un potere sessista che mantiene metà del genere umano in stato di oppressione, e rimuove o addomestica la radicalità del pensiero e della tesi che attraversa le pagine è duplice. Da un lato, il femminismo politico, se non vuole essere ridotto a una serie di parole chiave buone per ogni uso e abuso, deve collocarsi con decisione dalla parte del cambiamento, della lotta per un ordine sociale giusto. Dall’altro lato, le forze politiche che intendono combattere le disuguaglianze e avanzare progetti di giustizia sociale devono porre le istanze del femminismo al centro della propria agenda. La battaglia delle donne può diventare strumento di liberazione per tutti coloro che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale: per questo sono centrali le questioni del reddito, della divisione sessuale del lavoro, del razzismo, della violenza istituzionale sulle persone migranti, della cancellazione culturale e giuridica delle sessualità non conformi. Il femminismo è una forza trasformativa radicale, la ricerca di una buona vita per tutte, non per poche, che può avvenire solo attraverso la costruzione e l’attivazione di una nuova dimensione del potere, di un altro genere di potere, un potere di altro genere.
17,00 16,15

Fare l'impossibile. Ragionando di psichiatria e potere

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 144
«Noi psichiatri abbiamo il vantaggio che in qualunque istituzione psichiatrica andiamo, troviamo sempre la stessa faccia, lo stesso malato, cioè il malato dell’ospedale psichiatrico. Hanno tutti la stessa faccia, sembrano che abbiano tutti la stessa malattia: in effetti questa malattia è il prodotto dell’istituzione». A cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, quale traiettoria è possibile tracciare di una delle personalità più influenti della psichiatria italiana del XX secolo? Questo libro prova a rispondere con l’aiuto di tre nuovi documenti emersi dagli archivi e mai pubblicati fino a ora. Tre inediti che consentono di entrare nel vivo dell’esperimento che nei primi anni settanta preparava il terreno all’abolizione dei manicomi e alla nascita dei servizi di salute mentale. «Abbiamo iniziato a fare quello che ritenevamo impossibile – scrive Basaglia – cioè trasformare una istituzione da violenta e bruta e mortificante in un’istituzione dove ci fosse la possibilità di chiamare un uomo “uomo”». La persona che è diventata il simbolo di questa battaglia viene qui presentata come un corpo e un pensiero collettivi. Nel libro vengono raccolti infatti interventi dal tono discorsivo in cui Basaglia compare in relazione e rapporto con altre voci, quelle di Franca Ongaro, Michele Risso e altri protagonisti del movimento antimanicomiale. Il saggio introduttivo di Marica Setaro e le note ai testi guidano il lettore nell’esplorazione di momenti, contesti e figure che raramente sono stati messi a fuoco. I dialoghi colpiscono perché mostrano una discussione aperta che coinvolgeva le assemblee di gruppo e che, a distanza di cinquant’anni, ci fa cogliere le contraddizioni che il nome Basaglia riassumeva in sé. La posta in gioco è alta: il senso di essere psichiatri mentre si scardina l’impianto della psichiatria stessa; la fatica di rendere l’esperienza di Trieste un modello costruttivo dove imparare a praticare una Emerge da questi tre scritti un uomo e uno psichiatra a cui non sfugge il rischio che il suo nome possa diventare soltanto un simulacro di libertà. Così come risalta la consapevolezza della lunga marcia che ancora attende quanti vorranno lasciare il segno effettivo di una trasformazione politica, ma non solo. Più volte Basaglia sottolinea il peso scientifico e culturale di questo processo: quali logiche e quali metodi prenderanno il suo posto? Ieri come oggi sono domande cruciali per rispondere al «problema psichiatrico». Psichiatria senza manicomio; la necessità storica che la parola «cura» significhi restituzione di dignità, diritti e soggettività ai «dannati della terra».
17,00 16,15

Il tempo dei femminismi. La storia delle donne come autobiografia

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 192
«La storia è stata scritta dagli uomini, con uno sguardo maschile che ha occultato le donne, generando silenzio e oblio. L’idea di reintrodurre le donne nella trama della storia non è dovuta solo a un approccio femminista. È prima di tutto un’esigenza di verità». Donne (e femministe) non si nasce, si diventa, si potrebbe dire parafrasando Simone de Beauvoir. In una narrazione insieme intima e collettiva, che unisce l’autobiografia alla storia, la filosofia all’attivismo politico, Michelle Perrot ricostruisce il percorso che l’ha portata, giovane studentessa nella Parigi degli anni sessanta, a diventare una storica e una femminista, e a scegliere di fare della storia delle donne il centro della propria ricerca. Quando era bambina, ricorda Perrot, suo padre le diceva sempre di non sposarsi troppo presto. Il suo desiderio più grande era quello di essere come tutti gli altri, di non essere diversa dagli uomini. Questo libro è l’occasione per guardare indietro e ricostruire la propria vita, riannodando il filo che dall’attivismo cristiano della sua giovinezza l’ha condotta al femminismo, passando attraverso il comunismo. Prima professoressa a insegnare la storia delle donne in Francia, Michelle Perrot ci accompagna in un viaggio lungo l’epopea del femminile, consentendoci di esplorarne tutte le ramificazioni: la storia della battaglia per l’uguaglianza, la storia del patriarcato, la storia del movimento femminista e del grande dibattito che lo percorre e lo anima – un dibattito continuo, relativo ai corpi, al tema del genere, all’opposizione tra universalismo ed essenzialismo nel rapporto con l’altro sesso, all’idea di sorellanza – fino ad arrivare al movimento #MeToo. Il pensiero illuminante di Michelle Perrot, che non tralascia nulla anche rispetto alle questioni più spinose, ci permette di decostruire e talvolta anche di superare le divisioni del femminismo contemporaneo, dando la misura della profondità storica delle lotte che ancora oggi percorrono le nostre società.
17,00 16,15

Quale Europa. Capire, discutere, scegliere

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 232
Tra il 6 e il 9 giugno in tutta Europa le urne saranno aperte per eleggere il nuovo Parlamento europeo. I partiti scaldano i motori: scelgono nomi, avanzano candidature, pensano tattiche. E i programmi? Il vento del nazionalismo e la diffusa resistenza a credere e battersi per una vera alternativa in quasi tutti i paesi membri rischiano di condurre a proposte di scarso respiro, timide nel-l’affrontare le sfide della doppia transizione, digitale e ambientale; ambigue, al meglio, nei confronti dei migranti; inadeguate a contrastare il nuovo disordine mondiale, le guerre e anche le tante ingiustizie ereditate. Di fronte a questo scenario il Forum Disuguaglianze e Diversità ha deciso con questo volume di scendere in campo. Non è una discesa nell’arena elettorale. È l’offerta di alcuni tratti dell’Unione europea che servirebbe alla giustizia sociale e ambientale, un contributo informativo e di confronto, un metro per giudicare – prima e dopo le elezioni – programmi, partiti, candidature ed eletti, una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l’Unione realizzerà nella prossima legislatura. L’Unione auspicata in questo libro è un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall’austerità; dove la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità; dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell’interesse prima di tutto dei più vulnerabili per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove politiche pubbliche e governo siano democratizzati. Un’Europa che prenda consapevolezza del proprio ruolo fondamentale nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace.
15,00 14,25

La fiera delle falsità. Via Rasella, le Fosse Ardeatine, la distorsione della memoria

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 144
Il 24 marzo 1944, 335 persone vengono fucilate a Roma, nelle Cave Ardeatine. Non è l’unico crimine nazifascista in Italia né quello più sanguinoso. Eppure, a ottant’anni di distanza, continua a suscitare polemiche. Perché quella strage produce ancora oggi leggende, racconti sbagliati, falsificazioni, errori, menzogne? A partire da questo interrogativo prende avvio il dialogo tra Lutz Klinkhammer e Alessandro Portelli: uno storico tedesco, autore di studi decisivi sull’occupazione nazista in Italia, e uno dei fondatori della storia orale, che con L’ordine è già stato eseguito ha segnato una tappa fondamentale nella ricerca sulle Ardeatine. In questo ascolto reciproco, i due approcci si arricchiscono a vicenda, illuminando tutti gli aspetti di un crimine nazista – e del suo rapporto con l’azione partigiana di via Rasella – che rappresenta tuttora una ferita aperta. Se infatti la composizione delle vittime – provenienti da tutta Italia (e non solo), appartenenti a tutte le classi sociali e a tutte le famiglie politiche – ne fa un evento unificante, la memoria pubblica, inquinata da falsificazioni, ne fa un evento divisivo, in un paese che stenta a riconoscersi nella fondazione costituzionale antifascista. Attorno alle Fosse Ardeatine si è addensato un senso comune che rovescia le responsabilità del massacro accusando i partigiani di non averlo prevenuto consegnandosi ai nazisti – quando in realtà l’idea di condizionare la rappresaglia alla resa dei partigiani non fu mai presa in considerazione. Una falsa narrazione che è diventata un pretesto per mettere in discussione l’intera moralità della Resistenza. Aspetto, quest’ultimo, che nel volume viene sviscerato e ampliato, affrontando, su tutti i versanti, le domande sulla legittimità e i limiti dell’uso della violenza, sulla difficoltà di riconoscere l’umanità delle vittime e fare i conti con quella dei perpetratori, sui meccanismi culturali messi in moto quando si tratta di rimuovere e mistificare le responsabilità.
15,00 14,25

Contro la democrazia illiberale. Storia e critica di un'idea populista

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 160
«Storicamente, la democrazia è sempre stata associata a una forma di giustizia sociale. Lo stesso non può dirsi di coloro che difendono la democrazia illiberale tra i populisti di destra, giacché non c’è nessuna giustizia sociale nell’idea di utilizzare il nome della democrazia per attaccare delle minoranze e promuovere un’idea di società che esclude piuttosto che includere». Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: la democrazia illiberale. Che cos’è la democrazia illiberale? Perché sta diventando sempre più centrale nei dibattiti odierni? Quali sono i suoi antecedenti storici e filosofici? Ma soprattutto: come possiamo difenderci dalle chiare derive autoritarie implicite in un regime i cui fautori teorizzano e difendono la disuguaglianza? Parafrasare il Marx del Manifesto può aiutarci a dare un senso al recente dibattito su uno dei termini più discussi e controversi degli ultimi anni, un termine in cui ciò che è stato considerato per molto tempo il simbolo del governo più libero ed egualitario della storia – la democrazia – si accompagna alla negazione di un’eredità che pensavamo ormai acquisita dopo circa tre secoli di lotte, e cioè la difesa delle libertà fondamentali. In questo saggio Alessandro Mulieri presenta un’analisi a tutto campo del problema della democrazia illiberale, decostruendone le basi teoriche e politiche e proponendo una genesi storicamente contestualizzata di questa forma di governo populista a partire da una più ampia ricognizione della storia della democrazia antica e moderna. Coniata all’inizio degli anni novanta dal giornalista americano Fareed Zakaria, ma in realtà con una lunga storia alle spalle, l’espressione «democrazia illiberale» nasce come una categoria descrittiva impiegata da opinionisti e analisti politici per dare senso a uno spettro ampio di regimi molto diversi tra loro ma accomunati da un unico obiettivo: utilizzare le procedure elettorali per portare avanti posizioni politiche liberticide. In realtà, la filosofia della democrazia illiberale ha antecedenti importanti nel mondo premoderno e nel pensiero antilluminista otto-novecentesco, ma è soltanto recentemente che essa si è trasformata inizialmente in una categoria fondamentale di interpretazione della politica internazionale e successivamente, soprattutto negli ultimi anni, in una vera e propria filosofia politica militante coltivata da alcuni ideologi e leader del populismo. Ripercorrendo i momenti salienti di questa storia, e del suo complesso rapporto con la storia e la filosofia della democrazia più in generale dall’antichità a oggi, il volume propone una critica serrata dell’utilizzo contemporaneo del concetto di democrazia illiberale, sia come categoria storico-politica che come ideale normativo o frase slogan della politica attiva, e mira a decostruire questo concetto dall’interno. L’obiettivo è quello di presentare una difesa appassionata della democrazia liberale che, contro ideologi e politici populisti, dovrebbe anche tornare a riscoprire il nucleo storico originario dell’ideale democratico, quello, cioè, di essere un «governo dei poveri».
18,00 17,10

Assalto a San Lorenzo. La prima strage del fascismo al potere

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 128
Il 30 ottobre 1922, mentre le ultime colonne della marcia su Roma entrano in città e Mussolini presenta al re la lista dei ministri del suo primo governo, un centinaio di fascisti armati fa irruzione nel quartiere di San Lorenzo e apre il fuoco contro passanti e abitanti. È un attacco del tutto gratuito, politicamente inutile ai fini della conquista ormai avvenuta del potere, privo di qualsiasi logica, se non quella della vendetta. Gli squadristi hanno come unico obiettivo quello di punire gli abitanti di una zona della capitale in cui non sono mai riusciti a entrare e dove, quando hanno provato a farlo, sono stati sempre respinti. Ne nasce un lungo conflitto a fuoco tra camicie nere, esercito e militanti dei partiti di sinistra che lascerà sul terreno un numero imprecisato di vittime, tutte tra gli abitanti del quartiere. Il generale Pugliese darà subito ordine di trasportare i corpi al cimitero del Verano, per seppellirli «senza cerimonia funebre, per evitare nuovi disordini». In questo modo, di quei morti e della loro storia si perderà traccia e memoria. A poco più di cento anni di distanza, Gabriele Polo ricostruisce la genesi e la cronaca di quella giornata, restituendo un volto e una voce a chi ne rimase vittima e allo stesso tempo riportando alla luce, con una narrazione quasi in presa diretta, le tensioni che attraversarono quei momenti davvero fatali. Nel libro, la strage di San Lorenzo, immediatamente oscurata e rimossa, assume le caratteristiche di un episodio emblematico, nel quale è possibile ritrovare gli elementi che, da quel momento in poi, caratterizzeranno l'era fascista: la violenza, l'eversione, l'impunità e la propaganda, che trasformerà gli atti criminali di quei giorni nel mito della rivoluzione del duce. Introduzione di Giovanni De Luna. Con un testo finale di Edith Bruck sul «Dovere della memoria».
16,00 15,20

Del capitalismo. Un pregio e tre difetti

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2023
pagine: 160
«Il sistema capitalistico è iniquo, instabile, inquinante. Il progresso dei redditi individuali e familiari è diseguale; l’instabilità è endemica, radicata; la spinta inquinante è strutturale, con ripercussioni per l’umanità sempre più gravi, potenzialmente devastanti. Ma proprio per questo la crescita è cruciale, nonostante i suoi successi, ovvero in ragione dei suoi successi: storico punto di forza del sistema, resta la via maestra per fronteggiare i guasti che il sistema provoca, per lenire i danni che la stessa crescita produce». Il saggio muove dall’intento di riportare al centro della discussione il concetto di capitalismo, che nella fase più recente è stato considerato da molti studiosi più debole, rispetto all’alternativa analitica offerta dal concetto di mercato. Le interpretazioni che rifiutano l’idea di capitalismo e si affidano all’idea di mercato, variamente arricchita da riferimenti storico-empirici alle istituzioni, alla cultura e alla politica nei singoli paesi, vengono vagliate nei loro preziosi apporti conoscitivi, ma anche nei loro limiti. In effetti, rispetto al mercato, il capitalismo si presenta come una più precisa e meglio configurata formazione storica, di cui si può seguire bene la lunga parabola, evidenziandone i punti di forza e quelli di debolezza, i rischi, le distorsioni e le possibili correzioni. Con grande efficacia di sintesi, l’emergere del capitalismo viene ripercorso attraverso le intricate vicende occorse in Europa dal basso medioevo alla fine del Settecento, quando il sistema si distaccò più nettamente dai precedenti e assunse connotati precisi e definitivi con la Rivoluzione industriale d’Inghilterra, per poi espandersi e prevalere nel mondo. La ragione del successo e della diffusione del capitalismo va ricercata nella sua intrinseca, formidabile, capacità produttiva. A questa, tuttavia, si uniscono tre negatività: il capitalismo è, per sua natura, iniquo, instabile, inquinante. Nella fase storica più recente, la stessa crescita economica non è garantita, e rischia di appannarsi. Queste contraddizioni sono radicate nel sistema e la globalizzazione le rende ancor più strettamente connesse. Lo stesso primato pluridecennale degli Stati Uniti d’America ne è messo in forse, e gli stessi assetti democratici ne sono minacciati, anche là dove sembravano più stabilmente consolidati. È quindi urgente una politica, un governo dell’economia, che però non può che trascendere lo Stato nazionale. Le pagine conclusive si interrogano sui prossimi scenari futuri per sottolineare che la partita è aperta, e che la crisi, se non addirittura la implosione, del capitalismo deve, e può, essere evitata.
19,00 18,05

L'antifascista. Giacomo Matteotti, l'uomo del coraggio, cent'anni dopo (1924-2024)

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2023
pagine: 160
«Giacomo Matteotti condusse una opposizione intransigente nei confronti del fascismo, la cui natura e pericolosità aveva acutamente compreso e denunciato per tempo. Fu l’uomo del coraggio. Per questo il fascismo volle che fosse consegnato alla tomba, così da farne tacere la voce». Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, fu rapito e trucidato a Roma ad opera di una squadra di sicari fascisti, colpevole di aver osato in un celebre discorso alla Camera denunciare che le elezioni politiche svoltesi il 6 aprile di quell’anno erano avvenute in un clima di sistematiche violenze e di brogli sfacciati. Matteotti pagò con la vita il suo coraggio. L’assassinio fece traballare il governo Mussolini, aprendo una crisi gravissima nella politica e nella società italiane, superata da un lato per la debolezza dimostrata dalle opposizioni divise sul da farsi, e dall’altro per l’appoggio dato al governo dalla monarchia, dalla gran parte della borghesia e dall’esercito. Il delitto ebbe una eco enorme non solo in Italia. Matteotti entrò nella leggenda: fuori dai confini dell’Italia fascista egli divenne, negli anni del regime, il simbolo della lotta contro il fascismo; in un gran numero di piazze gli vennero eretti monumenti; pittori, scultori e poeti gli dedicarono opere. Durante la guerra di Spagna e la Resistenza combatterono Brigate ispirate al suo nome. In Italia, sconfitto il fascismo, la figura di Matteotti fu finalmente riscoperta, ma non fu celebrata come avrebbe meritato: il Partito comunista e anche quello socialista, nella fase in cui rimase ad esso subordinato, lo considerarono, per un lungo periodo, un «socialdemocratico», un «riformista», insomma un eretico. La giusta valutazione del suo pensiero e della sua opera è stata resa finalmente possibile a partire dagli anni ottanta, quando venne avviata la pubblicazione completa dei suoi scritti. Questo acuto saggio di Massimo L. Salvadori intende contribuire a rimuovere, a cent’anni di distanza, la patina dell’oblio, ma anche quella della pura e semplice celebrazione. Ma Matteotti fu soprattutto l’uomo del coraggio, come testimoniano gli scritti raccolti nell’appendice al volume, composta da un lungo articolo di Andrea Caffi, dal titolo Cronaca di dieci giornate, pubblicato il 30 giugno del 1924, a ridosso del sequestro e dell’assassinio Matteotti, ricostruendone le fasi e documentandone le responsabilità e le ripercussioni politiche; e da una breve scelta di articoli, lettere e discorsi di Giacomo Matteotti. La forza delle sue parole dimostra che egli fu un martire del fascismo esattamente perché ne era stato il lucido analista, l’accanito e conseguente avversario.
19,00 18,05

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