Il 4 novembre 1925, in una stanza d’albergo in piazza Colonna, a Roma, la polizia fascista arresta Tito Zaniboni prima che spari al Duce. Di lì a poco, infatti, Mussolini si sarebbe affacciato dal balcone di fronte, da Palazzo Chigi. Ma il tentativo vano di Zaniboni, deputato socialista, ex valoroso ufficiale degli alpini, non resta isolato. Ne seguono altri tre. Il 7 aprile 1926 una aristocratica irlandese, Violet Gibson, spara a Mussolini, che si salva per caso: la donna, dichiarata pazza, finirà la sua vita in manicomio; l’11 settembre l’anarchico Gino Lucetti lancia sull’auto del capo del governo una bomba a mano che rimbalza sul cofano ed esplode lontano; il 31 ottobre, a Bologna, la folla lincia il quindicenne Anteo Zamboni accusato di voler uccidere il Duce: è disarmato. Tra il 1931 e il 1932, poi, sono progettati e non realizzati altri cinque attentati. Successivamente, tra il ’37 e il ’39, è invece l’Ovra a montarne altri, uno attribuito addirittura a Galeazzo Ciano, allo scopo di rafforzare l’immagine del Duce o di regolare i conti all’interno della nomenklatura fascista. Per i colpevoli, veri o no, c’è il carcere e il confino, per alcuni di loro la condanna a morte. Bruno Manfellotto racconta la vita di ogni attentatore, i motivi che li spingono, le deboli alleanze che li sostengono, la solitudine in cui sono lasciati, le trame in cui cadono. E ricostruisce gli eventi che in pochi anni cancellano la democrazia e aprono la strada alla dittatura e alla tragedia finale.