«Bene, qui è dove finisce la tua vita»: così dice a Bianca Bosker, nel suo primo giorno da inviata nel mondo dell’arte, un gallerista di Brooklyn. Subito prima di sparare una vite in un pannello pericolosamente vicino alla sua coscia, tentando un allestimento improvvisato. Il gallerista somiglia a un bambino vestito per lo sbarco sulla Luna, ma Bosker è convinta che sia la guida perfetta per accompagnarla nel viaggio che l’attende: un reportage fra artisti ispirati, ossessionati collezionisti, acquirenti sperduti e curatori snob. È la galleria il posto ideale per osservare all’opera quella “macchina” che funziona a ingegno, passione, leggi di mercato e ambizione. Sfavillante, sì, ma incomprensibile ai più. E pensare che, vent’anni prima, l’arte era stata il grande amore di Bosker. Smuoveva i suoi sogni, creava i suoi desideri, nutriva la sua immaginazione. Ora invece – un lavoro da giornalista a New York, una routine perfettamente ottimizzata – non fa più parte della sua vita. Non solo: le è diventata indecifrabile. Ma come è accaduto che uno dei bisogni principali dell’essere umano – esprimersi artisticamente – produca sempre più spesso opere che risultano astruse e balzane? È questa la domanda che la spinge a imbarcarsi in un’esilarante e picaresca avventura giornalistica: strappare la copertina lucida dell’arte contemporanea alla ricerca di senso e bellezza. Così Bosker racconta di quando si è ritrovata a tendere tele fino a farsi venire le vesciche o di quando è rimasta per ore davanti a una singola scultura. Di quando ha assistito a performance provocatorie o si è infiltrata in feste miliardarie. Tutto senza mai perdere di vista ciò che conta: imparare davvero a vedere l’arte, non soltanto a guardare in quella direzione.