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Donzelli

Tutti i libri editi da Donzelli

L'aula e la piazza. Dialogo sull'architettura, l'università e la società

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 184
«Maestro, discepolo e piazza si intrecciano in un dialogo che, a partire dalle contraddizioni della contemporaneità, ha condizionato il nostro pensiero su spazio e democrazia, influenzando l’architettura e l’università fino a oggi». L’architettura è costantemente chiamata a confrontarsi con le proprie radici e tradizioni, riscoprendo attraverso il dialogo le contraddizioni che la attraversano. Il rapporto tra pratica progettuale e storia, purtroppo, sembra oggi quasi interrotto, sebbene continui ad alimentarsi di un confronto difficile, ma necessario, tra prospettive disciplinari e generazionali diverse. In questo dialogo si tenta di affrontare le difficoltà che investono l’architettura, intesa come uno spettro che comprende ricerca, insegnamento e pratiche: un campo che non cessa di porre domande fondamentali sul nostro vivere insieme, sulla nostra capacità di pensare e progettare le città, ma anche di abitarle. Non basta una semplice riscrittura delle regole: è necessario mettere in discussione i presupposti che reggono i discorsi correnti sull’insegnamento e lo studio dell’architettura e sulla loro capacità di incidere sulla realtà. Le università, per esempio, sono diventate luoghi di riproduzione piuttosto che di elaborazione del sapere. Il docente, sempre più incapsulato in un sistema di valutazione impersonale, si trova a destreggiarsi tra l’obbligo di costruire curriculum e pubblicazioni scientifiche e il vuoto di una comunità che non riesce più a dialogare al suo interno. L’internazionalizzazione, che avrebbe dovuto ampliare gli orizzonti della disciplina, è spesso ridotta a un meccanismo che promuove la globalizzazione dei saperi senza favorire una vera comprensione tra le diversità. Non si tratta solo di riflettere su come restituire valore e orizzonti alle pratiche universitarie e professionali, ma di ritrovare spazi per un dialogo che vada oltre il semplice scambio accademico. Il confronto tra saperi, idee e tradizioni deve essere il cuore di un’architettura che non voglia ridursi a mera prestazione di servizio e riscopra la propria forza politica ed etica. Il percorso di riflessione proposto, portato avanti da due protagonisti di età e formazione diverse, è un invito a sfidare l’apparente inevitabilità del presente senza cedere al pessimismo. Si tratta di trovare una comprensione condivisa del nostro mondo e della nostra architettura, per restituire alle sue discipline la capacità di essere, ancora, un luogo di cambiamento.
18,00 17,10

Montagne a bassa definizione. Gli Appennini tra crisi di identità e cambiamento

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 184
Ripensare la dorsale appenninica in favore di nuovi modi di intendere e praticare, dunque abitare, le varie sfaccettature di una irriducibile montanità. La dorsale appenninica è la catena orografica più grande del paese, con un’estensione superiore all’Ungheria, al Portogallo o all’Austria. Nonostante la sua ingombrante presenza, per i più rimane un rilievo minore, perennemente in bilico tra il «non-ancora Alpi» e la montagna di serie B. La bassa altitudine, le cime «arrotondate», la frammentazione in valli e altipiani, la relativa facilità d’accesso e i morbidi versanti boscosi l’allontanano dall’idea universale di montagna, tradizionalmente identificata nella cultura occidentale con la catena alpina. Ciò accade perché gli Appennini, prima di essere una regione geografica, sono luoghi della mente, sui quali proiettiamo qualità e caratteristiche maturate all’interno della cultura collettiva. Se da una prospettiva realistica gli Appennini esistono indipendentemente dalla percezione umana, come rilievi orografici, tutt’altra storia è se li esaminassimo a partire dalla costruzione culturale che ne ha fatto la società, chi li vive, li studia, li racconta e li progetta. L’appenninicità viene descritta attraverso una rete di narrazioni, distorsioni e reinvenzioni che, giocoforza, contribuiscono all’invenzione di una geografia dal duplice volto in cui la dimensione romantico-consumistica, tendenzialmente edulcorata e depurata da fratture e fragilità, convive con quella meno incoraggiante dell’internità, costruita sulle diseguaglianze e sulle minori opportunità che le popolazioni montane sperimentano rispetto a quelle cittadine. Questo libro offre una rilettura dell’ambiente appenninico, o meglio, un’indagine sul suo stato di montanità. Propone spunti concettuali per decostruire e ricostruire l’entità geografica alla luce della contemporaneità, affinché le venga riconosciuto quel diritto ad essere considerata montagna senza dover ricorrere necessariamente a un termine di paragone. Saggi di: Filippo Barbera, Augusto Ciuffetti, Maurizio Dematteis, Antonio De Rossi, Federico Di Cosmo, Piero Lacorazza, Giuseppe Lupo, Laura Mascino, Fabrizio Toppetti, Giuseppe Varavallo, Mauro Varotto, Piero Zanini.
18,00 17,10

Fuori dal coro. Cultura pop femminile e mutamento sociale nell'Italia del dopoguerra

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 188
«La cultura pop è stata un potente vettore di emancipazione delle donne: per ogni cantautore col marchio controllato e garantito di musica impegnata c’erano una Caterina Caselli, una Mina e una Patty Pravo che portavano avanti il lavoro pesante del cambiamento culturale dal basso». La rivoluzione femminista che ha attraversato la società italiana nella seconda metà del Novecento non è passata solo dalle piazze e dalle assemblee. La cultura pop – sostiene Elizabeth Leake – ha avuto un ruolo fondamentale nel generare il cambiamento: prodotti culturali considerati di puro intrattenimento, che non veicolavano messaggi dichiaratamente politici, grazie alla loro popolarità erano capaci di incidere sulle abitudini individuali perfino più di quanto non lo fossero operazioni culturali esplicitamente rivoluzionarie. Se nel dopoguerra Nilla Pizzi cantava ancora dal palco di Sanremo melodie nostalgiche e legate a modelli femminili tradizionali, nel giro di poco più di un decennio iniziò a scaldarsi la voce una generazione di cantanti che rivendicava per le donne un ruolo da protagoniste, nella vita privata e nella società. Un percorso di emancipazione non lineare, spesso fatto di paradigmi concorrenti che si contendevano lo stesso pubblico: da un lato la femminilità rassicurante di Gigliola Cinquetti, dall’altro l’esuberanza di Mina, l’adolescenza dirompente di Rita Pavone, o la sessualità ambigua di Patty Pravo e Ornella Vanoni. La cultura popolare rifletteva i cambiamenti in atto nella società, ma allo stesso tempo li promuoveva, rendendoli possibili. Era una forma di attivismo dal basso, che agiva sul piano del quotidiano e dell’informale, dando come assodati aspetti che la società ancora faticava ad accettare Nelle canzoni, nei film e nei libri venivano presentate come realtà l’esistenza del desiderio femminile, l’indipendenza delle donne e la necessità della parità dei diritti. In questo senso, il pop ha contribuito al riconoscimento delle donne come soggetti politici, dando forza e peso alle cause che venivano portate avanti, in forme diverse, dai collettivi femministi e dai gruppi di autocoscienza. Dalle canzonette agli schiamazzi degli Urlatori, dai musicarelli alle commedie all’italiana, dai libri di Dacia Maraini a Porci con le ali, Leake propone una storia inedita del femminismo italiano, che mostra come la cultura di massa possa essere politica, anche quando ne è inconsapevole.
17,00 16,15

L'antifascismo. Una tradizione generativa (1945-2025)

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 256
«È possibile pensare un antifascismo che non sia solo un residuo nostalgico del passato, destinato ad ammutolirsi davanti alle grandi questioni del presente e all’orizzonte mentale delle giovani generazioni? L’antifascismo va inteso come una promessa di liberazione arricchitasi – in modo generativo – di sempre nuove sfaccettature, ma con un nocciolo invariante: allargare la democrazia, farla vivere nella vita reale delle persone, trasformare i rapporti di potere, parlare a chi sta ai margini». La Festa della Liberazione dal nazifascismo, di cui nel 2025 si celebrano gli ottant’anni, ha sempre diviso gli italiani poiché sancisce l’epilogo di una dittatura ventennale e di una lacerante guerra civile. I conflitti che costantemente l’accompagnano dimostrano la persistenza e la periodica riapertura di quelle ferite: noi ci sentiamo ancora eredi di quel passaggio storico e continuiamo a interrogarci su di esso. Ma cosa ne è oggi dell’antifascismo, nell’Italia con il Parlamento e il governo più a destra della storia repubblicana? Andrea Rapini prova a rispondere a questa domanda affrontando un viaggio nel passato alla ricerca del nucleo profondo che ha reso l’antifascismo vitale, capace di trasmettersi nel tempo, di incontrare nuove generazioni e nuove questioni politiche. Fin dai primi anni Quaranta, gli antifascisti compresero che per sconfiggere il fascismo occorreva contrapporre al regime di Mussolini un programma attivo di trasformazione della società, della politica e delle forme di vita. Il loro obiettivo, dunque, era generare una democrazia di massa che programmaticamente abbattesse non solo le ingiustizie e le disuguaglianze del presente, ma anche i nuovi volti dell’oppressione che si sarebbero presentati nel futuro. Questa tensione si rivela fondamentale ancora oggi. In un frangente epocale in cui l’ordine internazionale fondato dopo la sconfitta del nazifascismo sta andando in frantumi, la guerra torna minacciosa e la democrazia si sfibra di giorno in giorno, abbiamo bisogno di riscoprire quel nucleo vitale e di adattarlo alle sfide del mondo globale. Il libro mostra che la riappropriazione dell’eredità dell’antifascismo è già in corso, benché le istituzioni si ostinino a proclamarne la morte.
18,00 17,10

Non facciamo del bene. Inchiesta sul lavoro sociale tra agire politico e funzione pubblica

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 144
Il mondo del lavoro e dell’impresa sociale oltre i luoghi comuni e le visioni di comodo. Un appello appassionato perché una professione, troppo spesso confusa con una missione, ritrovi la dimensione che deve avere: quella politica. Trecento lavoratrici e lavoratori delle cooperative sociali vengono licenziati dall’Azienda sanitaria di Napoli dopo trent’anni di servizi essenziali nel campo delle tossicodipendenze, della cura degli anziani e delle malattie croniche, in quella che è stata a lungo una virtuosa integrazione tra pubblico e privato sociale. Questi lavoratori, come tanti altri, sono coloro che, nella sempre più carente offerta di servizi sanitari pubblici e nel rafforzamento del privato, dovrebbero essere il modello. Sanità, assistenza, scuola, accoglienza ai migranti sono solo alcuni dei settori in cui lo Stato perde terreno e trova nell’impresa sociale una stampella essenziale ma non sufficientemente riconosciuta. Senza questi lavoratori in molti casi alcuni diritti non sarebbero garantiti. Questo libro nasce dall’incontro tra l’operatore sociale che ha attraversato decenni di vita pubblica e la giornalista impegnata, abituata a inquadrare i fenomeni spogliandoli della retorica e della propaganda, a scarnificarli per farne emergere l’essenza, spesso con tutto il suo carico di violenza. Molti osservano questo scenario da bordo campo, ma qualcuno è sul campo, sempre più un campo di battaglia. C’è chi fa, ogni giorno: operatori e operatrici sociali che insieme alle loro cooperative sociali e ai loro enti stanno all’intersezione tra le situazioni reali, con le loro inimmaginabili complessità, e le pessime politiche che avrebbero la pretesa di governarle. C’è un triste dato di partenza. Smarriti nella sostanziale continuità di governi sempre più staccati dalla realtà su cui dovrebbero incidere, gli operatori sociali hanno spesso perso la consapevolezza del proprio agire. Chiunque abbia sfogliato un giornale nell’ultimo ventennio conosce derive che hanno indignato: cooperative piegate alla logica del profitto nel trattamento inumano di migranti, carcerati, marginali. I finti buoni che si arricchiscono sulla pelle di chi sta male: esiste forse un discorso più efficace da offrire in pasto a un’opinione pubblica livida per confondere le acque e sbagliare le diagnosi e i rimedi? Questo libro scomodo, invece, pur senza fare sconti o nascondere quello che non va, entra nel mondo del lavoro sociale per evidenziare come possa rappresentare una risorsa preziosa a patto che recuperi la propria natura originaria: le operatrici e gli operatori sociali non devono essere visti come curatori fallimentari dell’esistente, ma come costruttori di politiche che abbiano al centro le persone, i luoghi, le comunità.
16,00 15,20

Shock da libertà. La Germania, l'Est e l'ascesa dell'estremismo

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 192
«La libertà non è qualcosa che una volta data esiste per sempre. Ogni generazione, a patto che le vengano garantite le condizioni per vivere in libertà e in democrazia, deve acquisire di nuovo una pratica con essa. Molti tedeschi dell’Est non hanno vissuto o non hanno percepito il salto verso la libertà come una liberazione. È questo che io chiamo shock da libertà». Ovunque in Europa le forze politiche che aspirano a un ritorno di strutture statali autoritarie stanno riguadagnando terreno. In Germania l’ascesa degli estremismi di destra e di sinistra – dall’Alternative für Deutschland (AfD) all’Alleanza di Sahra Wagenknecht – sembra inarrestabile, e in particolare nell’ex Germania Est ha assunto proporzioni dilaganti. Com’è possibile che la democrazia liberale venga messa in discussione soprattutto in quella parte del paese in cui, con la caduta del Muro, sembrava che si fosse realizzata una rivoluzione pacifica per la libertà? In questo vibrante e appassionato pamphlet Ilko-Sascha Kowalczuk, autorevole intellettuale nonché tra i maggiori esperti di Germania Est, rilegge la storia della Germania dal 1989 ai giorni nostri, mostrando come l’esperienza della dittatura vissuta dai tedeschi orientali plasmi ancora oggi gli atteggiamenti politici e il comportamento elettorale di larga parte del paese. Nella «più grande prigione a cielo aperto d’Europa dopo il 1945» – così l’autore definisce il regime della Repubblica democratica tedesca – la libertà era preclusa, ogni aspetto della vita quotidiana era inquadrato dallo Stato in un ordine monotono e oppressivo. Con la riunificazione, i tedeschi orientali hanno guadagnato la libertà e la democrazia, ma si sono trovati a fare i conti con le sfide che esse pongono in termini di impegno e responsabilità personale, generando un senso di frustrazione e di insicurezza che ha spinto molti a rimpiangere la vita «sicura» sotto il regime. Kowalczuk, tedesco dell’Est di origini ucraine, descrive con particolare vividezza quella dittatura, smontando le «leggende» su cui è stata costruita e che l’hanno alimentata, e racconta le promesse e le delusioni della riunificazione a Est e a Ovest. La tagliente analisi degli ultimi trentacinque anni di storia tedesca che l’autore conduce in questo libro è essenziale per comprendere non solo la realtà attuale della Germania, ma anche le questioni cruciali che l’Europa si trova a dover affrontare, in primo luogo il rapporto con la Russia di Putin e la gestione del conflitto in Ucraina. La Germania Est, in questo senso, viene vista come una sorta di laboratorio della globalizzazione, dove si manifestano, prima che altrove, tendenze e sviluppi che minacciano di dilagare in tutta Europa. Quello di Kowalczuk è dunque un inno alla libertà, unico argine contro le tendenze antidemocratiche. Senza la libertà nulla è possibile, neanche la pace.
19,00 18,05

Chi ha paura delle donne. Libertà femminile e questione maschile

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 160
«Tutti i regimi autoritari partono dalla disciplina del corpo femminile, non tutte le democrazie liberano il corpo femminile dal controllo. La piena cittadinanza delle donne è oggi un discrimine, ma è anche una sfida ancora aperta e irrisolta per le democrazie». Non è un paese per donne l’Italia, nella vita quotidiana così come nelle politiche pubbliche. Nonostante cambiamenti epocali, c’è una resistenza profonda che impedisce il raggiungimento di una piena ed effettiva cittadinanza. Lo abbiamo visto in maniera eclatante durante la pandemia, quando sono esplose con forza le disuguaglianze, anche di genere, ed è venuto fuori il ruolo essenziale – altrimenti invisibile – delle donne, specie nel lavoro di cura. Nella nostra società c’è una «questione maschile», che è insieme permanenza di privilegi e reazione, anche violenta, alla messa in discussione di quei privilegi. Il patriarcato è in crisi, ma proprio per questo erige barriere o passa all’attacco, mettendo nel mirino la libertà delle donne, puntando al controllo del loro corpo: non è un caso l’aggressione al diritto all’aborto, così come non è un caso il rigurgito di femminicidi. Da questa constatazione prende avvio la riflessione di Cecilia D’Elia, che in queste pagine ripercorre anche la propria esperienza nei movimenti e nelle istituzioni per ragionare sulla politica delle donne e individuare i limiti del discorso pubblico italiano. La presenza di una donna per la prima volta a Palazzo Chigi, dopo le iniziali fascinazioni, ha mostrato i limiti della metafora del tetto di cristallo, frutto della piega individualista della libertà femminile: il successo di una può non essere un vantaggio per tutte, e può invece accompagnarsi a politiche illiberali e reazionarie. La destra, di fronte alla crisi del patriarcato, propone infatti una risposta regressiva, accogliendo e incoraggiando il desiderio di restaurazione. L’elezione di una giovane donna a segretaria del Partito democratico è una enorme novità, ma la sinistra deve ancora trovare le parole migliori per nominare la questione maschile e una politica alternativa. È necessario coniugare la dimensione di genere con il progetto di giustizia sociale: perché non c’è un prima di questione sociale e un dopo di questione di genere, un prima di condizioni materiali da migliorare e un dopo di trasformazioni culturali da ottenere. C’è una crisi di legittimazione della democrazia e c’è la crisi del patriarcato. Non sono la stessa cosa ma queste due crisi sono fortemente intrecciate e vanno politicamente interpretate. Non si può affrontare la distopia che avanza se non si legge la matrice neopatriarcale di questo attacco, se non si anima una battaglia per una società più giusta fatta di connessioni tra le differenze, di passione per la cura del mondo, di lotta per l’uguaglianza. Serve un’agenda politica femminista. Ancora una volta, la libertà delle donne non riguarda solo le donne, ma quale società vogliamo essere.
17,00 16,15

Showar. La guerra in Ucraina come spettacolo

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2025
pagine: 240
Cosa succede quando una guerra diventa pop? Quando le sue immagini e i suoi suoni ci immergono – seppure a distanza – nelle trincee e fra le rovine delle città, in una diretta social e televisiva continua? La guerra in Ucraina è – come tutte le guerre, ma forse più delle altre – una guerra di ideologie, narrazioni, immagini e specchi, tanto quanto una guerra di eserciti e milizie con cannoni, carri armati, lanciamissili. L’intreccio di modalità e immagini tradizionali con risorse iper-tecnologiche offre lo «spettacolo» di una guerra anomala, inedita – riconoscibile come una guerra, ma fruibile come un film di guerra. Alle dirette Instagram e TikTok di questo conflitto i media hanno aggiunto le loro dirette, in una ipertrofia mediale in cui molti confini sono definitivamente saltati. Questo volume propone una riflessione sul significato, o meglio sui significati, della rappresentazione mediatica del conflitto ucraino per chi lo osserva e lo vive a distanza, per chi assiste allo «show» della guerra, che va oltre l’ennesimo «spettacolo del dolore», definendo invece una condizione costante di immersione nel conflitto, con la diretta delle immagini e dei suoni che ci rende testimoni attivi e presenti degli eventi in corso: partecipi, a nostro modo, più che mai. Con un approccio che fa tesoro degli strumenti dell’analisi semiotica, dei visual studies, della teoria dei media e della sociologia, nei contributi che compongono il volume vengono analizzati alcuni «protagonisti» dello shoWar: dalla figura del presidente Zelensky al ruolo dello sport, dalla tutela del patrimonio artistico alla rimediazione delle immagini cinematografiche, fino al ruolo dei grandi palcoscenici musicali e alle molteplici immagini dei talk show italiani, che hanno ulteriormente confuso intrattenimento, propaganda e informazione, proponendoci un «sapere di guerra» con aggressioni e prime linee esasperate negli studi e nei salotti televisivi a imitazione della guerra stessa.
26,00 24,70

Miss Dior. Una storia di moda, guerra e coraggio

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 416
Chi era la donna enigmatica a cui Christian Dior si ispirò disegnando quel New Look che avrebbe rivoluzionato lo stile e la società del dopoguerra? Chi era la Miss Dior a cui è dedicato il profumo più iconico della storia? È lei, Catherine, l’amatissima sorella del re della moda e protagonista di questa splendida biografia riccamente illustrata che racconta il suo anelito di libertà all’ombra di un regime repressivo, la ricerca di bellezza nell’abisso della prigionia e l’ascesa della celebre maison, con la sua esplosione vitalità pur nelle dolorose contraddizioni del dopoguerra. Justine Picardie, scrittrice e giornalista di moda, ci accompagna sulle tracce di Catherine, tra le strade della Parigi occupata dai nazisti, dove Christian affina le sue doti di stilista mentre la sorella entra nella Resistenza dopo essersi innamorata di un capo partigiano. Catturata dalla Gestapo, Catherine viene torturata e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Per ricostruire la sua vicenda, che attraversa i momenti più intensi e drammatici della storia del Novecento, Picardie si serve di documenti inediti conservati negli archivi della famiglia Dior e delle testimonianze di altre partigiane sopravvissute a Ravensbrück, per ricomporre, in un racconto corale, i tasselli della tragica esperienza di questa giovane donna. Catherine sopravviverà, benché ferita nel corpo e nell’anima, e troverà rifugio in una vita tranquilla, dedicandosi al commercio di fiori al fianco dell’uomo che ama e che era stato, come lei, un eroe della Resistenza. Per tutta la vita resterà legata al fratello da un tenero affetto e sarà testimone dell’ascesa della maison Dior, di cui, dopo la morte di Christian, amministrerà l’eredità con dedizione. Proprio in virtù del loro fortissimo legame, Christian dedicò a lei il suo primo e più celebre profumo: nostalgico omaggio alla femminilità e all’innocenza della giovane Catherine.
30,00 28,50

Cultura è cittadinanza. Esperienze, pratiche e futuri possibili

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 128
Mai come in questo tempo, devastato dalle guerre e da crisi ambientali e sociali, è forte il richiamo alla cultura come paradigma dei cambiamenti sociali e delle ragioni della speranza. È all’insegna di questa visione che Ledo Prato ha impostato la sua intera vita professionale, come emerge dalla conversazione con Paolo Di Paolo. Sollecitato dalle osservazioni dello scrittore e mettendo in gioco la pluridecennale attività nell’ambito delle politiche culturali, Prato riflette sulle sue esperienze più significative: dall’impegno nel sindacato a Napoli, nella difficile fase tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta, ai primi tentativi di promozione dell’imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno, fino alla esperienza della direzione di Mecenate 90, costruendo progetti in grado di promuovere un rapporto virtuoso tra pubblico e privato nella gestione del patrimonio culturale. Nel dialogo emergono le questioni nodali nella dialettica tra politica e cultura e in che modo possono incidere sul futuro: come costruire nuovi spazi di sapere diffuso, come moltiplicare le opportunità di crescita della cittadinanza anche fuori dai grandi centri, come conciliare cultura e impresa, scardinando vecchi pregiudizi e convinzioni sedimentate da parte degli stessi attori culturali, incapaci spesso di andare oltre schemi logori e stantii. Nella lotta alla povertà educativa c’è un territorio enorme da dissodare, guardando sotto le foglie del rapporto tra impresa e cultura, scommettendo sull’attivismo giovanile e sulle scuole come infrastrutture sociali: «Continuo a domandarmi – si chiede Prato – cosa impedisce a un paese come il nostro, con le sue dotazioni culturali, naturali, ambientali, di essere tra i protagonisti della scena mondiale nell’economia della conoscenza e del turismo. E non ho trovato una risposta se non pensando alla miopia di una classe politica e imprenditoriale che ha voluto rifugiarsi nella conservazione e non ha saputo osare. Il tempo che stiamo attraversando richiede coraggio, innovazione, capacità di affrontare le sfide del futuro guardando al bene comune e meno ai propri piccoli interessi». La cultura può e deve essere un motore per generare una vera ed effettiva cittadinanza, una cittadinanza attiva.
16,00 15,20

Caro Vincent

Libro: Libro rilegato
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 40
Vincent è un pittore, vive a Parigi e trascorre le giornate a dipingere. Ma la città è grigia e fredda, lui non ha amici e nessuno vuole comprare i suoi quadri. Grazie all’aiuto del suo amato fratello Theo, Vincent si trasferisce nel Sud della Francia, dove scopre posti meravigliosi e trova amici veri. Riuscirà a dipingere il quadro dei suoi sogni? Un racconto pieno di colori ispirato alle lettere, alla vita e ai quadri di Vincent van Gogh. Età di lettura: da 4 anni.
20,00 19,00

Il metodo Sindona. Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino

Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 144
«Il caos per Michele Sindona non è un deterrente; anzi, lo sprona. È pronto all’offensiva, su un terreno che finora nessuno ha mai calpestato. L’ordine mondiale è in bilico; la crisi, inattesa e profonda, spariglia le carte, l’impensabile diviene possibile; forse, pensa, è scoccata l’ora per gli avventurosi outsider, la campana suona per gli audaci, la spericolatezza diviene virtù. Imbaldanzito, ma forse anche istupidito dai suoi stessi successi, parte per sferrare l’attacco decisivo al cuore della borghesia industriale e finanziaria del paese». Un oscuro impiegato di banca della provincia siciliana diventa nell’arco di pochi anni uno degli uomini più ricchi e potenti d’Italia, a capo di un impero finanziario internazionale, in grado di condizionare le mosse dei politici più autorevoli. Fiumi di soldi, scorribande in borsa, azzardi, scalate societarie; perfino la celebrazione mondiale quale «salvatore della lira». E poi la fine ingloriosa, che nella rovina trascina tutti, i piccoli risparmiatori ma anche chi aveva cercato di smascherare l’inganno, portando alla luce gli illeciti che avevano permesso quell’ascesa. La parabola di Michele Sindona, raccontata nel libro attraverso un ampio ricorso a documenti e interviste, è la storia di un giovane intraprendente che arriva a Milano deciso a conquistare il mondo finanziario, sfoderando una logica aggressiva e creando nuove strategie, tanto da forgiare un vero e proprio «metodo Sindona». Un metodo in cui un fattore decisivo è costituito però dalle connivenze politiche, dalle alleanze con la criminalità organizzata, con la P2, con i servizi segreti deviati. Le complicità sono tante, come scrive Umberto Ambrosoli nella prefazione, e per anni consentono al banchiere un successo globale: «seguito e acclamato da commentatori, opinion leader, attori del mercato», solo in pochi riescono a opporsi, resistendo «chi a blandizie, chi a pressioni, chi a tentativi di corruzione, chi a intimidazioni o minacce». E pagando un prezzo ingiusto, altissimo. Nell’Italia che ha appena assaggiato il sapore del benessere, una finanza grossolana, priva di norme adeguate, è il ventre molle che permette il malaffare e la corruzione a tutti i livelli: «non c’era obbligo di comunicazione – osserva Marco Onado nella postfazione – e quindi gli scalatori aziendali erano avvantaggiati; non c’era una normativa insider trading e dunque le fonti riservate non erano illecite; non c’era obbligo di Opa e quindi i guadagni dello scalatore non dovevano essere condivisi con gli azionisti di minoranza». Uno scenario di cui Francesco Giordano porta alla luce i punti deboli, scioglie i nodi più oscuri, racconta le crisi valutarie, le vicende industriali, gli scontri politici e i lenti progressi di un ordinamento immaturo e anche per questo facilmente manipolabile da un uomo che nella sua ascesa e caduta, nel suo percorso violento e geniale, tragico e grottesco al tempo stesso, impiega in maniera esemplare un «metodo», una modalità criminale e canagliesca in realtà ampiamente diffusa, al punto da segnare una delle fasi più cupe della storia del nostro paese.
18,00 17,10

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