In un corso del '25, Heidegger rievoca la definizione di Scheler dell'essenza intenzionale dell'uomo come "gesto della trascendenza". Sullo sfondo di tale suggestione, questo saggio ripercorre il tragitto inquieto e multiforme della paradossale metafisica antropologica di Max Scheler, ricostruendone progressivamente il principale "leitmotiv": l'uomo come quell'instabile frontiera tra il divino e la vita, "eterno confine" che continuamente si rinnova, eterno transito, ombra incerta tra le infinite ombre di Dio proiettate sulla parete dell'essere.