La Russia come terapia, l'identità ebraica come specchio, l'Europa come domanda. Questo libro attraversa tre grandi fratture dell'Occidente: quella geopolitica, quella culturale e quella psicologica, e lo fa con uno sguardo che intreccia analisi storica, profondità interiore e intuizione filosofica. Il conflitto russo-ucraino ha riaperto antiche ferite, ma anche vecchie attrazioni: la Russia è percepita non solo come minaccia, ma anche come enigma, come richiamo. Non tanto per ciò che è oggi, quanto per ciò che ancora rappresenta nell'immaginario europeo: uno spazio di lentezza, profondità, silenzio – qualità perdute in un Occidente accelerato e nervoso. La fascinazione per la letteratura, la musica e il cinema russi continua a parlarci, ricordandoci ciò che abbiamo smarrito. Dietro la Russia, c'è un altro specchio: quello dell'ebraismo. Non inteso soltanto come identità religiosa, ma come componente rimossa, eppure fondante, della cultura occidentale. Se l'Europa è figlia del monoteismo, lo è anche – forse soprattutto – della sua matrice ebraica: una parte che resta viva anche in chi non è ebreo per nascita, ma in qualche modo lo è culturalmente, simbolicamente, affettivamente. L'identità ebraica diventa così un luogo denso del pensiero europeo, la chiave della sua profondità e anche della sua nevrosi: ciò che genera amore e rifiuto, identificazione e paranoia. Infine c'è l'Europa, ricca, fragile, disabituata al sacrificio e forse anche alla vita comune. Il presente la interroga: siamo ancora capaci di difenderla? Possiamo ancora riconoscerci in qualcosa di più vasto di noi? Luigi Zoja, dopo l'indagine condotta in "Narrare l'Italia", allarga lo sguardo all'altra nostra casa comune, quella europea, invitandoci a riflettere su ciò che ancora ci muove, dentro e fuori la storia. Perché ciò che chiamiamo politica è insieme la psiche collettiva che prende forma.