È il 1816, l’anno senza estate. La violenta eruzione del Tambora in Indonesia ha oscurato i cieli fino in Europa e i temporali sono frequenti. Per ingannare il tempo durante una di quelle notti da tregenda, nella svizzera Villa Diodati un gruppo di amici in vacanza decide di raccontarsi storie di mostri e fantasmi. Di quel gruppo fa parte Mary Shelley. È un aneddoto che conosciamo, perché le circostanze da cui scaturirono Victor Frankenstein e la sua Creatura sono ormai nel mito, ma in questa vicenda c’è molto di più. Quello che oggi è un caposaldo del gotico moderno e dell’horror, all’epoca era infatti anche tutt’altro: fantascienza purissima, non proiettata in mondi lontani ma in quello che sembrava poter essere l’immediato futuro... Siamo alla fine del XVIII secolo, Antoine Lavoisier ha posto le basi della chimica moderna con gli studi su idrogeno e ossigeno, Luigi Galvani appende file di rane morte in giardino per investigare gli effetti dei fulmini sui muscoli e le aule di medicina straripano di studenti e curiosi interessati alla dissezione dei cadaveri dei criminali. Tutto sembra in fermento come i nuovi composti sconosciuti che si rimestano in laboratorio. Attraverso la biografia di una donna straordinaria, fra tragedie personali, battaglie politiche e rivoluzioni culturali, Kathryn Harkup ricostruisce la temperie in cui Mary Shelley concepì il suo capolavoro. Un mondo in cui la scienza era spettacolo, magia e ossessione, dove la chimica e la fisiologia si spartivano ancora il campo con l’alchimia, e tra fantastico e fantascientifico il confine era davvero labile. È qui, dove la letteratura combina alchemicamente la storia della medicina e il folklore dei morti viventi, che si compie La nascita di Frankenstein.