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Einaudi: Gli struzzi. Nuova serie

Tutte le nostre collane

Paese dalle ombre lunghe

Libro: Libro in brossura
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 180
Tutti i lettori sanno bene che le storie narrate dagli scrittori portano sempre in tempi che non si sono vissuti e in luoghi che non si conosceranno mai. Ciò vale in modo estremo per "Paese dalle ombre lunghe" che, grazie al funambolismo mimetico della voce che narra, addirittura situa il lettore, direttamente, fin dal primo rigo, fra gli inuit, gli eschimesi del Nord, in un luogo del pianeta oltre il quale non c'è più pianeta. Top of the World è infatti il titolo originale del libro, pubblicato nel 1950, letto da milioni di persone in tutto il mondo, con una celebre versione cinematografica nel 1960, protagonista Anthony Quinn. È la storia di Ernenek e Asiak, che vivono, si amano diventano genitori e muoiono scoprendo tutto come se fosse la prima volta al mondo, un istante prima dell'arrivo della civiltà occidentale, in un luogo violento e ingenuo dove la legge che comanda è quella della natura, una natura che non risparmia nessuno. «In quella zona la vita può solo essere carnivora. L'orso è la maggior preda dell'uomo. L'uomo è la maggior preda dell'orso. Qui, non si sa ancora quale dei due sia la perla del creato». Il giorno e la notte durano mesi, le tempeste sottomarine innalzano forme che sembrano rovine pietrificate, il vento rovescia le slitte e sposta i cani, a cui vengono limate le zanne per evitare che, rivoltandosi, possano sbranare l'uomo e i suoi cuccioli. Eppure si dorme tutti insieme negli igloo, costruiti sempre uguali ovunque sia necessario, anche al buio, in fretta e a memoria, contro la furia del vento e la morsa del gelo. Dentro, gli uomini e le donne si parlano senza dover urlare, mangiano, dormono, finalmente, e si fanno magari «due risate», magari gli uni con le mogli degli altri, perché così è giusto e così si fa da sempre... La salvezza a queste latitudini della civiltà e del pianeta è non pensare al futuro più di quanto si pensi al passato, dice il narratore, si vive «in un presente eterno». Il mondo è giovane, gli esseri umani «schietti, allegri e crudeli».
16,00 15,20

L'istante e la libertà

Libro: Libro in brossura
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 120
«La via intermedia tra gli estremi spesso non è più ampia di una corda tesa sulla quale si avanza per un prodigio di equilibrio. Montaigne non risponde a tutti i nostri problemi [...] non è disceso agli inferi. Insegna modestamente a non trasformare la vita in un inferno. Ed è già molto difficile». Nel pensiero forte di Rachel Bespaloff la posta in gioco è, sempre, la vita. Ma che cos'è l'istante? È il «presente autentico», risponde in questo suo ultimo saggio Rachel Bespaloff: un'esperienza in cui «il punto di arrivo, identico al punto di partenza, non promette sicurezza né stabilità». È il luogo assoluto e perituro dove, nel decidere per questo o per quello, si gioca la libertà di ciascun essere umano. Bespaloff parte da un confronto serrato con «i due grandi libri che hanno segnato più profondamente il pensiero occidentale», le "Confessioni" di sant'Agostino e i "Saggi" di Montaigne, le opere del «fondatore», scrive, e del «rinnovatore» del pensiero occidentale, ai quali poi si aggiunge il Rousseau delle "Fantasticherie del passeggiatore solitario". In particolare, Bespaloff, che compone queste pagine alla fine degli anni Quaranta del Novecento, considera che Montaigne inauguri «quel lungo processo di secolarizzazione di cui l'esistenzialismo costituisce la fase più recente». È il suo metodo: rivolgere ai grandi pensatori la domanda che in realtà incalza da vicino lei, le urge, come preme a tutti noi, e guardare dove loro si sono fermati, dove si sono accontentati delle risposte o delle incertezze, per andare, lei, oltre. Bespaloff guarda nei grandi maestri il dispiegarsi della domanda sul senso della propria esistenza come guardando dentro se stessa, e questo non è che uno degli aspetti in cui è a loro più vicina. Non c'è solo teoria nei libri di quei grandissimi, come non c'è in questo saggio di Rachel Bespaloff. Là come qui, i libri degli altri diventano la voce che parla all'indiretto libero di chi di volta in volta scrive e pensa. Che senso ha la nostra interiorità perduta nel tempo? Ci si deve accontentare o ci si deve accettare? Dove si sono fermati Agostino, Montaigne e Rousseau, «tutti e tre poeti della soggettività e dell'istante», ci dobbiamo fermare anche noi o esiste sempre un confine ulteriore? Leggere questo saggio è, anche, un'esperienza del limite, è un arrivare a trovarsi tra filosofia e vita, è un arrivare sull'orlo.
13,00 12,35

Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa

Libro: Libro in brossura
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 256
In un'alba livida e fredda del gennaio '79, sulle alture della Genova popolare, due colpi di pistola sparati a bruciapelo uccidevano l'operaio comunista Guido Rossa. Lo uccidevano al buio, nell'ora in cui gli operai vanno a lavorare. E così quell'alba era anche un tramonto. Annunciava la sconfitta politica delle Brigate rosse, segnava la fine della loro illusione di conquistare il favore delle classi lavoratrici. Ma la vita del «compagno Rossa», campione d'arrampicata dalle Alpi all'Himalaya, paracadutista, fotografo, non si esaurisce nella sua morte. Né si limita a riflettere la morte di un'utopia operaista respinta dal movimento operaio. Grazie allo scavo archivistico di Sergio Luzzatto – e grazie al suo talento narrativo – la storia di un «fresatore meraviglioso» diventa qui il ritratto, sorprendente ed esemplare, di un italiano nel dopoguerra. La parabola di un alpinista sceso giù in mezzo agli uomini per cercare insieme a loro la strada della liberazione. Troppo spesso, nel discorso pubblico, le «vittime del terrorismo» sono poco più che figure retoriche. Sopravvivono nella memoria degli italiani come immaginette, santini laici, piuttosto che come persone in carne e ossa. E così era stato, finora, anche per Guido Rossa. Comprensibilmente, tanta è la forza simbolica del suo martirio: un operaio metalmeccanico, un sindacalista, un comunista, ucciso dai brigatisti rossi perché baluardo democratico in fabbrica, oppositore strenuo di una propaganda marxista- leninista da lui denunciata quale travisamento degli interessi più autentici della classe operaia. Senza voler nulla togliere al merito politico e civile del sacrificio di Rossa, Sergio Luzzatto si è accostato alla sua figura con altre intenzioni. Oltre l'immaginetta, ha voluto scoprire l'uomo. Autorizzato ad accedere (il primo a poterlo fare) all'archivio di famiglia, ha voluto guardare alla vita di Rossa, almeno altrettanto che alla sua morte. Si è trovato così a fare i conti con una personalità originale, irrequieta, scomoda: quanto di più lontano, sia in fabbrica sia fuori, dall'icona dell'operaio comunista come militante disciplinato. D'altra parte, lo storico ha ritrovato nella varietà stessa del percorso esistenziale di Rossa, il bellunese «razza Piave» cresciuto a Torino da figlio di immigrati e trapiantato nella Genova del «miracolo economico», un itinerario tipico della modernizzazione italiana. Dapprima meccanico in un'officina a conduzione familiare, poi fresatore Fiat nei capannoni nuovi fiammanti di Mirafiori Sud, infine attrezzista Italsider nella città capitale delle partecipazioni statali, l'operaio Guido Rossa incarna un po' tutta la storia del trentennio durante il quale le «tute blu» poterono sembrare il soggetto sociale portante di una Repubblica costituzionalmente fondata sul lavoro. Ma cercare l'uomo dietro l'icona ha comportato altro ancora. Nell'oralità del dialetto piemontese da lui parlato con gli amici, nelle lettere da lui scritte ai compagni di cordata, nelle poesie e nelle canzoni da lui scrupolosamente ricopiate, nelle fotografie da lui scattate in montagna come al mare, Luzzatto ha scoperto un Rossa totalmente inedito. Un carattere dissacrante e uno spirito artistico, oltre all'alpinista temerario, e al sindacalista eroico
16,00 15,20

Il segno rosso del coraggio

Libro: Libro in brossura
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 280
«A volte guardava i feriti con invidia, pensando che chi aveva il corpo lacerato fosse particolarmente felice. Avrebbe voluto anche lui avere una ferita, il segno rosso del coraggio». Il classico americano sulla guerra e la paura, la vigliaccheria e il riscatto. «Perciò il suo libro è breve: nemmeno duecento pagine. Le gemme sono piccole» (Joseph Conrad). «È un libro in cui ogni paragrafo è essenziale» (Paul Auster). «Il freddo lasciò la terra con riluttanza, e la nebbia, diradandosi, rivelò un esercito accampato sulle colline». La narrazione si apre così – «con una semplicità da gran maestro», come scrive ammirato Joseph Conrad – e il lettore si trova immediatamente sul campo di battaglia. La guerra di secessione americana si svolse dal 1861 al 1865. Il segno rosso del coraggio venne pubblicato a puntate in rivista nel 1894 e come libro nel 1895. L'autore era nato nel 1871. Il romanzo, dunque, viene scritto un trentennio dopo la fine degli eventi, da un autore nato anch'egli sei anni dopo la conclusione del conflitto. Eppure ebbe un successo strepitoso, e non solo nell'immediato, ma fu considerato il libro migliore e più «vero» della letteratura americana su quel periodo, su quella guerra e, da molti, sulla guerra in generale, diventando presto un classico. Tutto ciò può sembrare paradossale, se non fosse, invece, uno dei molti modi di dar corpo all'essenza della letteratura, che può cogliere la verità anche dove c'è solo immaginazione. Siamo in un luogo che potrebbe essere tutti i luoghi, in un giorno qualsiasi, in un anno imprecisato. Quando l'esercito si muove è solo «un vasto spettacolo blu», che si confonde con il fumo delle armi e gli alberi della boscaglia. Quando la battaglia infuria è solo un rombo, un ruggito ininterrotto di cannoni, urla e fucileria, un «animale scarlatto», «un dio gonfio di sangue». E i soldati, che vengono mossi da ordini per loro incomprensibili, non hanno quasi nome. Sono «il giovane», il «ladrone», quello «chiassoso», il «soldato alto», sono nessuno e tutti, uniti da quella fratellanza che trova solo chi si incontra in una situazione di pericolo estremo. Combattono, fuggono, hanno paura, molta paura, uccidono, vengono uccisi e cadono, rimanendo spesso sul terreno come macabre rappresentazioni della morte, in posizioni innaturali o grottesche, sempre impietose. In mezzo a tutto ciò, il «giovane» deve fare i conti con la paura e con la vigliaccheria che colgono tutti, in momenti simili: «un quadro psicologico della paura» definì Crane il suo libro. Il giovane deve mettersi alla prova e trovare se stesso. Il libro è unico perché è la storia di due battaglie combattute nello stesso tempo: quella contro il nemico, che non ha volto, e quella contro il lato oscuro e miserevole di noi stessi, che crediamo di conoscerci. Come scrive Michele Mari nel suo saggio finale, l'autore «trasfigura l'esperienza del suo protagonista in una surreale allucinazione». Dentro la quale il lettore di oggi e di sempre non fa che perdersi e ritrovarsi. Con un ritratto dell'autore di Joseph Conrad.
16,00 15,20

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